Sottosopra - Finestre rotte #1
Di partecipazione attiva e fisica, di partecipazione falsificata e social. Little Simz e Lamezia Terme sono carne viva in un presente digitale e asfissiante
Se si potesse privare Bob Dylan del suo bianco e maschio premio Nobel, e consegnarlo, come di dovere, a Little Simz, la sua poesia femmina e nera si chiamerebbe certamente: Lotus.
You ain’t got a clue how I
Feel, and what I suppress
So when you’re in the public
Eye, I wanna see your best
I been saying the world’s
Fucked from then I was 12
So don’t tell me what I should be speaking
On, if you ain’t changed yourselves
My pen has always been
Respected, I’m still connected
And when I write, it’s introspective,
Somewhat subjective
Lunedì 16 giugno, Roma
Ogni volta che sul mio telefono spunta il contatto o il nome di una persona che vive a Gaza, il mio cuore trema.
Non dormo bene, ho la tachicardia tutte le notti, appena mi stendo stanca sul letto, mi sveglio ore prima della sveglia e la controllo, controllo Instagram, Rainews 24, senza rendermene conto. E i miei occhi si spalancano e le mie orecchie sentono solo i rumori del primo mattino romano.
Il camion che pulisce le strade. L’ho visto sabato, lo vedrò domani quando uscirò di mattina presto per prendere la metro. Vedrò la popolazione del primo mattino: quasi tutti italiani non bianchi.
Ripenso a Gaza, mi preoccupano le persone che mettono la loro storia tra le mie mani. È un atto di fiducia e forse disperazione la cui portata mi spaventa. Ma qui la questione non sono io e questo è il mio lavoro.
Il limite tra il servizio e l’appropriazione della vita altrui nel giornalismo è sottilissimo.
È uscito il nuovo numero di Prismag, il progetto editoriale che seguo come vicedirettrice. Una rivista di approfondimento mensile composta da freelance e non sparsi per il mondo. È bello crescere insieme, vedere anche come fare editing, passare gli articoli e dialogare con chi li scrive. L’editing, la correzione degli articoli, è un processo molto raro in Italia: in pochi lo fanno, lasciando all’autore tutte le responsabilità di considerare gli errori così come i rischi, di forma e sostanza. Accade per il poco tempo e il poco denaro, che purtroppo vanno insieme. Ma è una delle perdite maggiori per testate e autori, perché solo grazie a uno sguardo esterno, a una correzione, ci si distacca dall’idea che ciò che si scrive sia parte di sé. È un ottimo modo per mettersi in dubbio.
Ho voluto raccontare la storia del campo profughi – nei fatti, una vera e propria città – di Dheisheh, in Cisgiordania. Si trova vicino a Betlemme, e la sua posizione, così sacra e radicata nell’origine dell’umanità, lo ha per lungo tempo fatto diventare un luogo di attrazione per i pontefici che si sono succeduti. Proprio Dheisheh è conosciuta per essere una roccaforte della sinistra: una zona rossa, di politica e attivismo, per il popolo palestinese.
Mercoledì 18 giugno, mezzanotte, Lamezia Terme
Tecnicamente è mercoledì, ma per me è come se fosse la continuazione di una giornata che mi ha consegnato mille significati per cui ha senso raccontare storie nate da persone alle persone, in questo tempo indescrivibile.
Trame festival non è solo un luogo di incontro: è una piazza partecipata a Lamezia Terme, nel cuore della Calabria, una regione che per me ha un significato politico e personale. Mia madre ci è nata e metà del mio sangue proviene da qui.
In quella metà ho visto rabbia, difficoltà e amore. Un’intensità verso delle radici che non ho mai provato al nord Italia, dove sono nata.
La piazza di Nicosia ospita un palco bellissimo con un impianto stereo e uno schermo che tradiscono una cura e una professionalità sorprendenti. Non sono serate fatte per divertirsi: sono lo spirito di una cittadinanza che vuole rivendicare che è costituita di solidarietà e che rinnega la mafia, come struttura di potere e governo. Non a caso tutt’intorno i luoghi del festival è costellato di forze dell’ordine e transennato. Abbiamo presentato Ombre sul mare, che parla del sistema di mobbing e di ostacolo al salvataggio per il personale della Guardia Costiera. Una politica che attacca le stesse donne e uomini dello Stato, così come le persone migranti. Ne abbiamo parlato dove le persone, in piedi, sedute su sedie e gradini ci ascoltavano. Lo abbiamo fatto moderate da un giornalista - Massimo Razzi del Quotidiano del Sud - che, con sincera ammirazione, desiderava presentare a meglio il nostro lavoro.
Non per dovere, non perché ci conosceva, perché per lui quello è un lavoro che ha un valore.
E le persone che erano lì, con le parole, con le loro strette di mano, ci hanno comunicato soprattutto questo: per noi questo lavoro è un servizio. È importante.
Sono momenti questi in cui a travolgere chi fa giornalismo è l’impatto con il pubblico. Non è scontato: il giornalismo è un lavoro autonomo quanto solitario. È il lavoro antipatico per eccellenza, volto a scombinare le carte e rompere le scatole. Ma il giornalismo è anche un servizio a una comunità, che a volte ti dice che è lì per te e che ti ascolta. E sono dei dialoghi rari e preziosissimi: niente come questo tipo di incontro aiuta a convincersi a continuare.
Giovani, anziani, uomini, donne, professori, fotografi, sconosciuti, volontari, lavoratori hanno saputo permeare l’aria di interesse. Hanno reso la piazza in cui è stato proiettato anche Ombre sul mare uno spazio pubblico. Per tutti.
La sera poi, un gelato con due persone straordinarie e una terza, che è come un mentore, hanno scaldato i nostri cuori. Due genitori che hanno perso un figlio, che portano con loro la tenerezza e la potenza del resistere a una perdita profonda. Non avrei mai pensato di conoscerli dal vivo, di mangiare un gelato con loro, anni fa. Limone e cioccolato fondente: con in bocca il sapore di questi gusti, ricorderò questa notte come quella in cui mi rendo conto che la realtà contiene più sorprese di quante ne possa immaginare la mia stessa fantasia.



Giovedì 19 giugno, Roma
In due giorni sembrano passati vent’anni. L’impressione è un continuo movimento di cuore, dove volti conosciuti diventano sempre più lontani, come se un muro invisibile di anestetico si frapponesse fra me e loro. Questo lavoro, a volte, ti allontana, ma non è una lontananza fisica, è una lontananza emotiva. È come se ci si riuscisse a costruire strumenti per non sentire più nulla. Quelle barriere che metto per non farmi travolgere dal dolore delle persone che vivono tragedie quotidiane, ebbene quelle stesse barriere diventano incontrollabili. Ci si sente avvolti da una bolla, i suoni ovattati, i volti sfuocati. Fino a volersi isolare.
Intanto, è uscito “Gaza, Netanyahu arma una gang criminale contro Hamas” l’ultimo articolo che ho scritto, questa volta per Micromega, che ha ancora la buona abitudine di mandare dei feedback. Sento che è necessario per me avere una risposta, un dialogo: voglio parlare con gli editor dei giornali per cui scrivo, essere un volto, una voce, un carattere. Voglio discutere e creare uno scambio proficuo. Voglio far parte del sistema dei giornali, ma non per forza dei loro salotti, se seduti su quelle sedie, alla fine, si riesce a dire poco o nulla.
L’articolo è un’analisi, ho voluto capire chi è Yasser Abu Shabab, che dalla Palestina descrivono come un criminale, ladro e trafficante di droga e armi. Ho voluto capire chi è la persona che Netanyahu sta armando. Così come voglio capire perché lo sta facendo. Che cosa ha davvero in testa l’uomo che sta facendo ripiombare l’area Medio oriente e nord Africa nel caos della guerra? È un articolo che si compone di due voci: una palestinese, gazawi, dell’avvocato per i diritti umani Salah Abdel Ati e l’altra di Sara Leykin, che è esperta delle politiche di Israele e mi ha aiutato a sbrogliarmi tra i corridoi della Knesset.
Domenica 22 giugno, Roma
Il tempo romano coniuga il caldo insopportabile alle minacce dei temporali. Un’atmosfera instabile si respira nell’aria: c’è stanchezza e rassegnazione. Siamo in balia di ciò che accade intorno a noi, immobili nelle nostre faccende quotidiane.
La notizia con cui si chiude questa settimana arriva nel cuore della notte in Italia. Trump e con lui gli Stati Uniti sono entrati in diretto conflitto con l’Iran, attaccando tre siti del programma per il nucleare del Paese. Netanyahu applaude. A Gaza i civili muoiono uno dopo l’altro.
Noi commentiamo sui social, facendoci includere in un dibattito che è a senso unico, come la nostra comunicazione: mandiamo un messaggio breve e incomprensibile a dei follower disattenti. Giudichiamo i comportamenti altrui, ci rendiamo veri portatori di morale. Non discutiamo, non ci urliamo addosso, non ci abbracciamo dopo i litigi. E le bombe cadono comunque sempre fuori da Instagram.